Stampare l’arte e fare arte non sono operazioni poi così diverse. Entrambe richiedono sensibilità, competenza e passione. Se poi a eseguire il lavoro conto terzi è un artista in proprio, la sua opera potrà leggersi come una vera e propria traduzione; non di una prosa scientifica, ma di una poesia: di un testo in cui, più che il significato oggettivo, conta l’aria tra le parole. Di questo canto segreto Loredana Amenta, titolare di una stamperia d’arte vecchio stampo e lei stessa abile incisore, è interprete residuale. Le ho rivolto alcune domande sulla stampa d’arte, in primo luogo analogica, e sulle prospettive di questo antico e nobile mestiere.
Inizio con una domanda semplice: cosa è una stamperia d’arte?
Se parliamo in termini pratici, una stamperia d’arte artigianale, dalla nascita delle prime botteghe ad oggi, è quel luogo a disposizione degli artisti per produrre delle opere multiple, numerate e certificate in serie, attraverso un processo artistico e artigianale che si tramanda da secoli.
Ma questo in termini spiccioli…
Avvicinandoci con meno superficialità, le stamperie d’arte, che continuano a proporre la tecnica pura, priva da ogni contaminazione evolutiva legata al mondo digitale, sono ancora oggi un luogo affascinante e carico di storia, dove si ha la possibilità di osservare il mestiere di incisore e stampatore d’arte a servizio degli autori. Un lavoro purtroppo sempre più raro e poco praticato; proprio per questo, il prestigio della tecnica manuale diventa oggi ineguagliabile.
Da sempre le stamperie hanno rappresentato per gli autori un’opportunità, una risorsa, un luogo cardine d’espressione che muove un percorso parallelo al loro operato artistico, permettendo loro di scoprire e approfondire, attraverso il segno, ulteriori aspetti delle personali concezioni artistiche.
All’interno di una stamperia artigianale, gli autori hanno a disposizione non solo importanti e ingombranti macchinari e materiali, necessari per la realizzazione della tiratura finale, ma anche e soprattutto delle figure specializzate, gli stampatori. Con la loro preparazione tecnica e sensibilità artistica, uno stampatore offre all’artista la possibilità di creare, facendo proprio un mezzo espressivo tradizionale, sperimentando e ottenendo risultati nettamente diversi da ciò che gli consente il lavoro diretto e individuale di pittura, disegno, ecc. che svolge in atelier.
Ho capito. Niente contaminazioni col mondo digitale.
Purtroppo la mia risposta non può esser sintetica; è importante, però, chiarire tutto, anche perché quasi mai si affrontano queste tematiche spinose.
Nel 2022 vantiamo una profonda crescita, ma ciò non ci impedisce di essere le “vittime” delle nostre stesse evoluzioni. La stampa artistica, ad esempio, ha subito nei secoli una flessione drammatica che mi induce ad affermare che la realizzazione di stampe artigianali con tecniche antiche non è più un patrimonio collettivo e condiviso.
Oggi più che mai è importante far conoscere il processo mediante il quale l’opera multipla viene alla luce. Questo è fondamentale per mostrare il valore reale, effettivo e soprattutto futuro dell’esemplare che l’utente finale va ad acquistare in una galleria, in una bottega artistica, in un sito online, da un privato e così via.
Spesso mi accorgo di quanta poca onestà e ignoranza ci sia nel vendere e certificare l’opera grafica. La maggior parte delle persone comuni è convinta di acquistare “litografie”. Forse perché questo nome ha un bel suono, è importante, ci riconduce a qualcosa che ha spessore, valore, autenticità. Ma in realtà quel foglio di carta, la pietra (da “lithos”) non l’ha mai incontrata, e soprattutto, essa non è mai stata la sua matrice. Il più delle volte la gente si porta a casa povere stampe riprodotte senza aver cura nemmeno della qualità dell’inchiostro impiegato, che nella peggiore delle ipotesi sbiadirà irrimediabilmente se accidentalmente l’opera verrà appesa davanti a una fonte di luce diretta, una semplice finestra. Questo è ciò che in massa è stato immesso sul mercato al solo scopo di monetizzare.
Bisogna far sapere al fruitore che i multipli che si ritrova tra le mani possono appartenere a due mondi che oggi vengono accomunati ma che sono totalmente differenti.
Bisogna quindi fare una importante distinzione tra riproduzione digitale (Fine Art, Giclée a getto d’inchiostro, povere riproduzioni a stampa laser, ecc.) e stampa d’arte artigianale (incisione calcografica, litografica, xilografica, ecc.).
L’opera calcografica “pura” si compie attraverso complessi e immutati processi artistici, manuali e artigianali, tramandati da secoli dai più grandi maestri incisori che, a compimento, ci donano edizioni di pregio.
L’artista, con il supporto tecnico dello stampatore, incide direttamente le matrici che vengono poi stampate su carte cotone con l’ausilio di grandi torchi calcografici a stella o presse. Ciò che si ottiene alla fine del processo non è una stampa, ma esemplari unici in serie, poiché ottenuti ognuno da un processo analogico che ha richiesto e preteso la medesima cura, minuziosa e concentrata, dall’inizio alla fine.
La stampa digitale, frutto ormai di un’evoluzione tecnologica che ha raggiunto livelli incredibili e che ci offre molteplici opportunità, è invece il risultato di un processo diretto e meccanico che, previa acquisizione fotografica dell’opera unica prodotta dall’artista (sia esso un pastello, un acquerello, un olio su carta, tela, ecc.), livellata nei toni e nelle caratteristiche cromatiche da un tecnico o da un fotografo grazie a dei software per le elaborazioni delle immagini, ne produce poi una successiva in serie su carta usufruendo di macchinari all’avanguardia come plotter, stampanti, ecc.
Proprio non le sopporti, certe cose.
Non c’è giusto o sbagliato, né vecchio o nuovo. Facciamo semplicemente i conti con una evoluzione di stampa che oggi ci permette di scegliere, in un ventaglio ampissimo di “prodotti”, cosa far nostro.
Un esempio semplicissimo e in piccolo. Ancora oggi, se dobbiamo mettere nero su bianco un nostro sentimento, abbiamo la possibilità di farlo in molteplici modi. Possiamo usare un pennino artigianale intriso d’inchiostro su una pergamena o una bella carta fatta a mano, oppure inviare una tecnologica e veloce e-mail. Indubbiamente le parole arriveranno a destinazione ma… avranno lo stesso sapore, lo stesso impatto, lo stesso valore?
Molte delle persone a cui spiego la complessità del lavoro che svolgo giornalmente e l’impegno, fisico e mentale che esso richiede, mi dicono: “Perché non acquisti un bel plotter di ultima generazione, così ti semplifichi la vita?”. In realtà non sono affatto brava a “semplificarmi la vita”.
Ho scelto di imparare un mestiere raro, oramai quasi in via d’estinzione, lo sento mio e lo faccio con dedizione e sacrificio da dodici anni.
Un amore a prima vista?
L’ho amato dal primo momento. Da subito mi è stata chiara la rarità e l’eccezionalità di ciò che puoi tirar fuori da una lastra incisa a mano o da un foglio che trattiene in sé un segno nato da un solco, frutto di un gesto che ha emozionato l’autore che lo ha inciso, pensato, donato.
Ho scelto la tecnica pura, ho scelto d’essere uno stampatore e incisore alla vecchia maniera, analogico, artigianale. Ho scelto di sporcarmi le mani e imbrattarmi i vestiti.
La contaminazione tecnologica nel processo di stampa non è un errore. Virare o integrare col digitale per ottenere maggiori profitti economici non è da condannare, è solo una scelta. È la scelta dello stampatore-incisore che ha le redini della propria stamperia.
Io, nella mia, ho deciso di seguire un’altra strada: seppur lenta, faticosa e controcorrente. Anche perché, a dirla tutta, la cosa che mi fa star meglio con me stessa, e mi conforta nei momenti più difficili, è la sensazione di orgoglio nell’offrire agli artisti un luogo in cui sperimentare, crescere, stupirsi, emozionarsi. Non dove produrre fotocopie a colori.
Di posti carichi di plotter o stampanti all’ultimo grido ne è piena ogni città, magari fosse così per le stamperie d’arte e per gli stampatori!
La tua è quello che si dice una stamperia di servizio: traduci il lavoro degli artisti. Vengono spesso in stamperia?
Quando sono tornata da Firenze dopo essermi formata al “Bisonte”, ho da subito avvertito l’esigenza di coinvolgere altre persone in questo folle esperimento.
Lavorare sulle mie incisioni, sperimentare, era stimolante, ma condividere questa nuova passione con quanti mi si avvicinavano è stata da subito la cosa più giusta e naturale che potessi fare. Una scelta non scelta, quasi un percorso già stabilito dalle energie che si scatenavano dal confronto.
L’aspetto che mi meraviglia di più oggi è che, nonostante i tanti anni, mi accorgo di quanto nulla mai si ripeta. Ogni lavoro è un nuovo percorso, una nuova sfida a sé, sempre differente. Il processo è standard, ma si ramifica con grande sorpresa di volta in volta, soprattutto quando ho a che fare direttamente con gli artisti, che arrivano carichi del proprio bagaglio, del singolare e proprio mezzo espressivo e soprattutto delle proprie aspettative.
Come si articola il vostro rapporto?
Non ci sono tempi definiti, né calcolabili con qualche certezza. Loro mi spiegano come possono ciò che intendono realizzare, e insieme cerchiamo di capire la direzione. Io, in primo luogo, mi sforzo di comprendere la carica emotiva che vogliono investire e ciò che vogliono far emergere da quel dato lavoro. Poi tutto si scompone in calcoli, temperature, tempi di morsura in acido, trasparenze di inchiostri e carte improbabili da utilizzare… L’avventura ha già preso il sopravvento. Guideremo insieme quel percorso e lo faremo in profonda empatia; il dialogo, la fiducia saranno un elemento fondante e indispensabile tra artista e stampatore poiché tutto si fonda su equilibri delicatissimi che però ti offrono, con estrema naturalezza, le soluzioni adeguate al buon esito del processo.
Lavori più all’incisione o alla stampa?
La fase di incisione è una costante sorpresa. Stabiliamo delle linee guida che poi, insieme all’artista, alcune volte decidiamo di stravolgere; altre invece le seguiamo maniacalmente perché magari il lavoro di quell’autore lo richiede. Di certo il lavoro di incisione su lastra che l’artista svolge direttamente qui in stamperia è, in termini di tempo, inferiore a quello di stampa, che poi curo io dopo aver raggiunto insieme all’artista il bon a tirér finale. La fase di stampa della tiratura, di tutti gli esemplari stabiliti che poi verranno certificati, di sicuro è più automatica seppur affidata alle mie mani; tuttavia non è impossibile il manifestarsi dell’imprevisto. Durante tutto il percorso, la padronanza della tecnica, la conoscenza della chimica e di tutte le componenti che intervengono nel processo sono le carte vincenti per assicurarsi un risultato che rimandi al fruitore il pensiero dell’autore che, seppur accompagnato, non deve mai risultare stravolto o contaminato dall’intervento dello stampatore, che ha partecipato attivamente, e con profondo coinvolgimento, all’intero processo.
Con quali artisti, se posso chiederlo, collabori più spesso? Cosa ti hanno insegnato?
Piero Guccione nel 2010 è stato il motore: la sua presenza rassicurante e di spessore a Scicli, dove ha sede la mia stamperia, mi ha sempre fatto sembrare naturale il ritornare in Sicilia per inventarmi un lavoro. I primi artisti che ho coinvolto sono stati Rosa Cerruto e Giovanni Robustelli. Loro sono una costatante nella produzione di tirature in stamperia, insieme ad Angelo Ruta che spesso viene da Milano per incidere le sue lastre qui in Sicilia. Si sono poi succeduti altri artisti: Blanco, Grenci, Viola, Fratantonio, Candiano, ecc. Con ognuno di loro si è instaurato un filo diretto che ha permesso di raggiungere i risultati sperati. La difficoltà è sicuramente nel saper leggere oltre le loro parole, partendo da una consapevolezza fondamentale: ognuno di loro ha un abisso dentro che non somiglia minimamente all’artista che hai curato la settimana prima. Devi stravolgere in tempi record i percorsi mentali che avevi abbozzato e assecondare un flusso d’energia che attraverso il loro pensiero e gesto diventerà segno, e che attraverso la mia padronanza della tecnica ci permetterà di dare anima ad un semplice e povero pezzo di metallo, ignaro di ciò che diventerà. Tutto questo è confronto, è crescita, contaminazione. Tutto questo è esperienza condivisa che non può far altro che generare opere cariche di emotività e nuovi racconti che arricchiscono chi li riceve.
Tu stessa sei un incisore in proprio, autrice di lavori originali: è per questa ragione che hai deciso di aprire un tuo laboratorio?
Si, il mio percorso nasce da incisore e tutt’oggi, quando gli artisti mi lasciano tempo (cosa sempre più rara) sviluppo miei progetti che curo in maniera totale, dalla fase di incisione alla stampa dell’opera.
All’inizio incidevo e stampavo solo mie edizioni e ciò mi ha permesso di sperimentare la tecnica, di percorrerla in lungo e in largo comprendendo fin dove potessi arrivare. Lavorare a una tua incisione da un lato ti costringe a un investimento emotivo maggiore, dall’altro ti procura meno stress, meno ansia di prestazione. Incidendo opere tue il percorso inizia e si conclude in te, non devi interpretare te stessa, devi solo avere il coraggio di lasciarti trasportare. Con il lavoro degli artisti è ben diverso.
La stamperia così come si presenta oggi è il risultato di una crescita avvenuta negli anni con tutte le incertezze e lentezze del caso. Ma alla base ho sempre avuto nitida l’idea di cosa sarebbe diventata.
Un grande bagaglio di sogni, testardaggine, una gran voglia di imparare e far mia la tecnica incisoria. Da subito ho capito che una volta in Sicilia avrei dovuto fare il possibile per metter su una stamperia mia; ma non è stato così immediato come risultato, ha richiesto tempo, investimenti, fatica e idee chiare.